Goetia

[Benvenuti a Villa Blackwood] [Il grande ritorno delle Recensioni Diversamente Brevi] [E dopo tanto, un horror punta e clicca!]

☆ ☆ ☆

Yohoo!
Un’altra recensione che non era esattamente nei piani ma, dato che ho appena giocato Goetia e ne sono rimasta abbastanza colpita, mi sono detta che potevo anche dar sfogo alla mia grafomania/logorroicità e buttar giù una recensioncina.
E, sì, ho un problema con i giochi horror. Mi devo disintossicare.
Ma dubito lo farò mai.

Goetia è un simpatico gioco punta e clicca sviluppato da Sushee/Forever Entertainment, uscito nel 2016 per PC e, per non farci mancar nulla, nel 2018 approdato su Switch grazie a Square Enix Collective. Ed è da qui che l’abbiamo recuperato noi!
Momento raccontino tenero di fronte al caminetto.
Che, sapete, io avevo comprato la Switch principalmente per giocare Pokémon (yeah. Spada. Ovvio. Non l’ho fatto anche e soprattutto per un certo titolo che probabilmente uscirà l’anno prossimo, inizia per D e finisce con –iamante.) e Animal Crossing, okay.
Però appunto, ho questo amore inesplicabile per i videogiochi horror e, finalmente, su questa console potevo dar sfogo a tutte le mie più fervide fantasie circa il passare ore a scappare da mostri, esplorare templi abbandonati e/o maledetti e lasciar vagare la mente in storie struggenti (??). Ne consegue che ho stilato un accuratissimo elenco di giochini, uhm, gustosi ispiranti sul Nintendo eShop, e Goetia era fra questi.
(PS: sì, lo so che il Gamecube ha dato vita ad uno dei giochi horror più sbarellati di tutti i tempi, cioè Eternal Darkness, e anche che per DS c’erano i Resident Evil Revelation e il porting di Corpse Party. Titoli di tutto rispetto, per carità, non dico che finora per la Nintendo non ci fossero horror. Ma credo siamo tutti d’accordo che per Switch c’è semplicemente più scelta).
La scelta è ricaduta su Goetia per svariati motivi: prometteva di essere un gioco plot heavy, e sapete quanta importanza do alla trama io; la grafica mi pareva bellina; l’ho trovato con uno sconto importante; era un punta e clicca, e quale migliore occasione per far pratica con questo genere che, di solito, finisce per farmi prendere il muro a craniate? Così, forte di questo e dello sconto, mi sono imbarcata in questa piccola oscura avventura.

 

goetia game screen

La solare Villa Blackwood

 

Stavolta ci ritroviamo nei panni… incorporei, oserei dire… di Abigail Blackwood, una ragazza di dodici anni morta per un tragico incidente ad inizio ‘900. No, non è spoiler, si sa prima ancora di aprirlo.
Il problema non è tanto che lei sia defunta (anche se-), quanto che si è ritrovata fuori dalla sua tomba circa quarant’anni dopo, trovandosi di fronte la sua vecchia casa in totale stato di abbandono, e in un mondo dilaniato da una guerra che lei nemmeno conosce.
La sete di spiegazioni, e anche un certo interesse per lo scoprire come tornare dove si suppone che stiano i defunti, la spinge ad avventurarsi per le stanze – ancora malamente illuminate, per qualche miracolo – e scoprire non solo cosa ne sia stato della sua intera famiglia dopo la sua morte, ma anche cos’è successo in questo nuovo presente… perché quarant’anni sono tanti, specie in un’epoca come il Novecento. Non ci sono stati solo guerre, disastri e l’affondamento del Titanic, ma anche scoperte, invenzioni e teorie che hanno trasformato le cose e le persone da lei ricordate.
Non ci vuole molto per scoprire, tuttavia, che nella villa è successo qualcosa di ancor più oscuro di quanto avrebbe potuto aspettarsi: sua sorella maggiore, preda forse della pazzia o di un insano istinto mitomane, si è dedicata a ricerche sul paranormale… e in particolare sul Goetia, l’arte di convocare e trattare coi demoni attraverso appositi sigilli e rituali. Stessi demoni che avrà il piacere di incontrare di persona in quanto, come le spiega Malphas – probabilmente il più… affabile fra di loro, se mai un demone possa essere considerato affabile – la sorella è stata così matta, e anche così astuta, da riuscire ad intrappolarli fra le mura di Villa Blackwood, per proteggerla dagli invasori. Ciò rende imperativo, per poter visitare la villa nella sua interezza, scacciare i demoni che ne difendono le mura.
Ma Annie non era impazzita solo per la guerra, no, aveva in mente qualcos’altro. Uno scopo più alto, almeno secondo lei: la salvezza dei suoi quattro figli. Il metodo, però, potrebbe forse essersi rivelato… opinabile.
Dunque starà ad Abigail esplorare la propria casa come non aveva fatto nemmeno da viva, indagare sulla scia di follia lasciatasi dietro da Annie, e far la conoscenza con quei nipoti che non aveva ancora avuto modo di incontrare. E magari, chissà, riparare ad almeno alcuni errori fatti dalla sorella…

 

goetia game screen

Credo una delle mie stanze preferite, sebbene fosse un laboratorio con piante malefiche

 

 

Partiamo dal presupposto che Goetia mi è piaciuto (Incredibile Colpo di Scena), e buona parte del mio gradimento lo deve alla componente di trama. Ha indubbiamente mantenuto la sua promessa di essere plot heavy: non c’è solo la trama principale in cui scavare. Abbiamo anche la cornice della guerra e del villaggio là vicino che, oltre ai bombardamenti, deve preoccuparsi della villa degli orrori lì accanto dove evocando i demoni. Ci sono uomini di chiesa che cedono al fascino del potere e di arti malefiche per ottenere… cosa, poi? Cosa sperava di ottenere quell’altro pazzo di Anton, fomentando Annie? Potere? I soldi dei Blackwood? O solo una conoscenza immensa? Chissà.
Si fa poi gradita tappa nelle profondità, sempre più giù, all’origine dell’intera genealogia dei Blackwood, su come l’intera loro casa sorga su un terreno destinato al paranormale fin dall’epoca dei romani – una porta già utilizzata in passato, o almeno avevano provato a – spiegando perfino come la loro sete di conoscenza e curiosità verso tutto ciò che c’era oltre non si fermasse certo ad Annie o suo padre Abraham, il primo a portare il goetia fra quelle mura.
E poi ci si può perdere nella fitta sottotrama dell’intrico familiare, laddove Annie aveva figli devoti e disposti a tutto per lei – Gabriel – e figli troppo piccoli per capire che diamine stesse succedendo – Edward e Robert – e poi lui, Alexander. Quello a cui tutta questa faccenda non stava bene. L’unico che ha osato opporsi, scappare di casa, ordire un piano – cercando l’aiuto del villaggio – per salvare i suoi fratelli più piccoli. Purtroppo ha fallito, ma quantomeno è diventato di fatto l’eroe di questa storia e dando più spessore a questa vicenda che, oltre ad essere un racconto horror su gente poco sagace che usa impropriamente le arti occulte, è anche un dramma familiare su di una madre che non hai mai capito davvero come rapportarsi ai figli, e li vede come sue proprietà – tanto da spingersi allo spezzarli pur di, secondo lei, proteggerli.
Ovviamente i personaggi possiamo conoscerli solo per vie traverse, dato che gli unici che vediamo di persona sono Abigail e Malphas. Abigail è una protagonista simpatica e a modo; è giustamente turbata per tutte le sue scoperte, ma abbastanza determinata da andare avanti nella ricerca di (o forse speranza vana di ritrovare) sua sorella, per poterle parlare direttamente e capire che diamine è successo nel suo cervello. Ho apprezzato anche che si interessi ai nipoti e non solo come “nipoti”, ma anche come persone, pur non avendoli mai conosciuti. Probabilmente, avrebbero apprezzato tutti la compagnia della zia.
Poi c’è Malphas che appare poco e, per quel poco che appare, ci si presenta come quella figura quasi classica… il demone grigio, al di fuori di ogni scala morale, che si limita ad assistere a tutto per puro divertimento. A volte c’è d’aiuto, altre no, ma tutte le sue cutscene (che peraltro sono fra le poche del gioco) sono piuttosto divertenti. Almeno fa compagnia in quella desolazione. x°
Per gli altri credo si sarà già capito: il personaggio cui mi sono più affezionata è appunto Alexander, sarà complice pure il nome accidenti a lui (*Ha un debole per il nome Alexander e tutte le varianti), ma lo trovo a tutti gli effetti il personaggio più tormentato di questa vicenda. Poi era pure un violinista, e capite che-
So. La trama è interessante, comprende un cast abbastanza vasto, e fornisce una moltitudine di spunti e approfondimenti super piacevoli da leggere. Tutti i documenti (testi, lettere, diari e what not) sono scritti (a livello di stile, intendo) abbastanza bene, con scelte lessicali adatte a persone di quel periodo, ma senza perdersi in fronzoli; così non risulta pesante da leggere e non troppo anacronistico.
Alla trama attribuirei giusto due difetti: uno, non è ben chiara la dinamica di certe vicende. (Non è spoiler, si sa da subito che so’ tutti morti). Del tipo…. sì, okay, suppongo Alexander sia stato letteralmente catturato e costretto a sottoporsi al rituale da sua madre. Ma il resto del piano? Perché Edward e Robert non sono stati portati via come pattuito?
Per carità, non ci vuole troppa fantasia per immaginarsi che le persone a cui aveva chiesto aiuto siano disgraziatamente morte anche loro durante i bombardamenti della guerra che, come ci ricordano, erano sempre più vicini. D’altronde, alla nostra visita, il villaggio di Oakmarsh è del tutto abbandonato. Eppure…
Due, e questo è il difetto più grosso di tutta la trama, a parer mio… sto per fare un super SPOILER SUL FINALE, non leggete se non volete sapere. Dunque, a fine gioco – e intendo gli ultimi due minuti, c’è questo Colpo di Scena Magyco dove si scopre che, in realtà, la persona da noi mossa per tutto il tempo non è Abigail. E’ Annie, la madre pazzoide. Sì, insomma, il colpo di scena alla Witch’s House dove alla fine scopri di aver mosso il kattiwo per tutto il tempo.
Nyeh. Ora, sarà anche questione di gusti e, non so, forse nella moltitudine di note e flavour text mi sono persa qualche indizio che lasciava presagire la cosa, o quantomeno la rendesse più sensata. Andiamo per punti.
A livello soggettivo, non mi piace perché questo genere di cosa, in un certo senso, rende inutile tutta la giocata. Appena Abigail scopre di non essere Abigail ma Annie, cambia carattere in mezzo secondo e si presenta per la saccente presuntuosa che ci immaginavamo dai diari. E fa pure la gradasse con Malphas. Nel good end è un pelino più calma, ma comunque non pentita di quello che ha fatto, anzi; secondo lei, avrebbe dovuto semplicemente farlo meglio. Ciò vuol dire che di tutto il gioco, questa tizia non ha capito un accidente e… questo mi porta sempre a pensare, quando capita, <i>Perché ho giocato questa cosa, se il viaggio non è servito al protagonista in primo luogo?</i>.
Trovo anche più originale l’idea di una ragazza lontana da tutto ciò che scopre per la prima volta i devastati anni ’40 e le storie dei suoi nipoti, piuttosto che la solita tizia che in realtà sa già tutto.
Da un punto di vista più oggettivo, invece, trovo la cosa nonsense perché svariate scene o affermazioni precedenti funzionano benissimo se vissute da Abigail, ma diventano WTF se vissute da Annie. Del tipo: perché diamine ad un certo punto dovrebbe apparire il gatto di Abigail per aiutare Annie ad avanzare? E perché lei dovrebbe trarne conforto? (Che era pure una cosa adorabile tra l’altro che il gatto defunto tornasse ad aiutare la padroncina in spirito, quindi con Annie proprio no.)
E soprattutto: nel bad end, Malphas spiega che Annie pensa di essere Abigail perché, per svolgere il suo rituale di immortalità, ha usato il diario di Abigail, portandola così a cancellare la sua identità e fondersi con quella di Abigail.
Okay, ma allora perché all’inizio del gioco dice chiaro e tondo: <i>sono morta cadendo da questa finestra, ricordo chiaramente di essere caduta da qui</i>? Perché, se Annie ha resettato tutti i suoi ricordi (cosa che sembrerebbe, visto che non ricorda manco i suoi adorati figli) non dovrebbe sapere che Abigail è morta cadendo di sotto. Perché le sue conoscenze si fermerebbero a quanto scritto sul diario, e dubito Abigail sia morta, tornata indietro dall’aldilà appositamente per scrivere il finale del suo diario, e poi di nuovo nella tomba.
Ci sono anche altri (molti.) esempi su come la presenza di Annie renda tutto più nonsense o dell’assenza di indizi al riguardo, ma mi fermo qua perché altrimenti ci viene un trattato. x° Quelli presentati credo siano i più efficaci.
Di mio, ho l’onestissimo sospetto questo colpo di scena sia stato aggiunto dopo, o non si spiega l’incoerenza. Strano in un gioco dove sembra essere stato studiato tutto così meticolosamente, ma ok. Non è così terribile da distruggere l’intera esperienza di gioco, che rimane comunque godibilissimo, e poi non so, a qualcuno meno… ehm… puntiglioso di me magari potrebbe pure piacere, non saprei.
/FINE SPOILERONE

 

goetia game screen

Al di là dello specchio e quel che Abigail ci trovo

 

And now this, l’altro grande paragrafo: il gameplay.
Aaah…
Se siete lettori di lunga data, ricorderete le bestemmie in antico toscano (imparato appositamente per l’occasione!) su The Dream Machine. Perché io coi punta e clicca proprio non-
Eppure devo dire che, per quanto abbia visto che la difficoltà del gameplay sia stato uno dei lati più criticati del gioco, non l’ho trovato così impossibile.
Sì, ovvio, non intendo che non ho mai guardato una guida. Di difetti ce ne sono, ma a mio parere sono altri. x°
In realtà, penso che in generale i puzzle di Goetia siano, per la stragrande maggioranza, intelligenti e ben congeniati. Gli hint ci sono e le associazioni di idee sono abbastanza fluide (a parte un paio di casi, tipo il puzzle delle costellazioni. Li mortacci. Da cosa diamine dovrei supporre che ad astra intenda metti le costellazioni nell’ordine in cui l’animale è più o meno vicino alle stelle? La cosa più logica non sarebbe andare per ordine di costellazione, di numero di stelle, di vicinanza? Vabbuo’.). Sono quel genere di puzzle laboriosi, ma che una volta risolti danno soddisfazione. Non lo consiglierei certo ad uno che è appena agli esordi coi punta e clicca o che non ci capisce un tubo come me ad esempio, ma per una persona che cerca una sfida tosta o che mastica il genere da parecchio, direi che potrebbe essere una magnifica sfida.
Il labirinto fotografico poi ha un che di geniale sia per gameplay che resa grafica, e credo andrebbe tenuto a riferimento perfetto su come creare puzzle di questo tipo. Difficile da risolvere all’inizio ma, una volta capito, davvero brillante nell’esecuzione e nello sfruttare tutto ciò che una fotografia poteva offrire – modifiche, scritte, o anche semplicemente mettere la foto sossopra…
Un’altra cosa che mi è piaciuta è che è uno di quei giochi non lineari: ci sono svariate aree ma le si può affrontare nell’ordine che si preferisce, una volta sbloccatole, e anche alcuni puzzle si possono affrontare prima o dopo, a seconda.
Tuuuttavia, questo si ricollega al difetto più grosso del gameplay… non penso Goetia sia troppo difficile. Io penso Goetia sia troppo grande.
Ci sono cinque scenari diversi, di cui uno è un effettivo labirinto, e il principale – Villa Blackwood – è semplicemente gigantesco. Unendo al fatto che la mappa di Goetia credo sia una delle più inutili della storia dei videogame (non solo è difficile capire dove sono le stanze che ti servono, ma all’inizio non stavo capendo manco dov’ero io) l’esplorazione risulta a tratti difficoltosa, a tratti frustrante. Non è tanto quindi che i puzzle siano difficili, quanto più che ad un certo punto trovi un oggetto che ti serviva quindici mappe prima… ma nel frattempo hai visto/fatto talmente tante cose che ti sei scordato di averlo visto. O anche solo dove diamine fosse la stanza.
Fintanto che non si sblocca l’intera villa, poi, questo è acuito dal fatto che alcune pareti sono bloccate e si devono fare giri improbabili per uscire, e per portare un oggetto da una stanza all’altra bisogna tenere a mente tutte le porte aperte e i passaggi.
Credo quindi il problema sia che ti richiede di tenere a mente troppe cose contemporaneamente. Considerando poi appunto che la trama è bella corposa e si trovano ovunque note e appunti, è facile perdersi nella quantità di informazioni di cui si viene sommersi.
Peccato, perché per il resto la villa è un piacere da esplorare, complice una bellissima grafica e la varietà nelle ambientazioni, e soprattutto il susseguirsi dei puzzle nella parte finale è piuttosto appassionante ed è difficile mettere giù il gioco in quel momento. (Ma probabilmente ogni tanto lo farete perché starete a guardare il vuoto e cercare di ricordarvi dove diamine era la sala da biliardo.)
A parte questo, l’ho trovata un’esperienza, senza dubbio… intensa.

 

goetia game screen

“Paradise of light and shadow”, più o meno, una delle ambientazioni più suggestive

 

Come accennavo quassù, la grafica è decisamente piacevole.
Combina in modo sapiente un’aesthetic gotica – non vedo cos’altro dovrebbe ispirarmi questa cupa magione dispersa nella nebbia, circondata da alte recinzioni e la luna dietro – con tutte le possibilità di arredo e decorazione che offre una villa decadente di inizio ‘900, più cripte, villaggi abbandonati e compagnia bella. Per quanto in generale l’aspetto goticheggiante sia abusato e risulti quindi piuttosto banale, in questo gioco ha un che di quasi… naturale, non saprei. Non sa di già visto, e avrei avuto difficoltà ad immaginarmi Goetia in qualsiasi altra veste. La villa poi è credibile come villa d’epoca o, per meglio dire, risulta credibile (certo non sono un’esperta del periodo, ma non ho visto nulla che mi facesse saltare e dire che ci fa questo qui). Certo l’assortimento delle stanze è un po’ bizzarro, ma questo lo si passa perché è comunque un videogame – e, in realtà, è giustificato; Villa Blackwood sta su da parecchio, e alcuni dei suoi eccentrici abitanti hanno voluto aggiungere o ampliare stanze in diversi momenti, a seconda del capriccio e dell’umore.
Aù contraire, le musiche non mi sono rimaste particolarmente impresse. Cioè. Non sono malvagie, c’è anche qualche OST che mi è piaciuta. Ma non mi sono rimaste molto in testa. Erano comunque un buon sottofondo per la giocata, e si nota anche una certa cura in tutto il comparto effetti sonori – fondamentali, per una buona atmosfera.

Prima di chiudere, un appunto sull’elemento sovrannaturale di Goetia.
Non è un gioco che ho trovato particolarmente spaventoso, ma ne ho apprezzato moltissimo l’atmosfera dark e la tensione di fondo. E, soprattutto, vorrei rendere un grazie agli autori per averci portato un videogioco horror che non si fossilizza sui soliti cliché del sovrannaturale.
Il Goetia è un’effettiva arte esoterica antica che esiste da secoli, e si vede che gli autori si sono documentati. Ora, per carità, non sono un’esperta di evocazioni demoniache (sapete com’è), ma dato che Paimon, Haborym e Malphas li ho trovati spesso anche in altre opere, suppongo siano tutti demoni provenienti dal folclore. Per il resto, apprezzo sia come i demoni vengano rappresentati in modo variegato, come spesso è nella mitologia – non sempre malvagi, a volte anche solo curiosi o indifferenti – sia come l’esoterismo sia trattato quasi con… eleganza.
E’ spiegato come creare i sigilli (a proposito, molto carino il pezzo dove si possono comporre a macchina), ci si rifa al Goetia, all’alchimia, all’astrologia. C’è la proiezione fuori dal corpo e lo studio delle fotografie come veicolo del sovrannaturale – che per l’epoca, essendo state inventate da poco, avevano davvero un che di magico.
Questo è il sovrannaturale dei colti, degli studiosi. Di qualcuno che si è appunto documentato sull’esoterismo. Perfetto dunque per i ricercatori affamati di sapere di Villa Blackwood, per quel contesto sociale e storico, e soprattutto perfetto per me. Non ne posso più di vedere horror che ripropongono sempre la stessa idea stereotipata e pacchiana di sovrannaturale e magia, con la parodia della messa nera, sangue spiaccicato ovunque, orologi fermi alle tre e trentatré e altre storpiature prese male dal vudù.
Quindi grazie, sviluppatori di Goetia, per averci portato un gioco dove si usano la magia nera, ma quantomeno ha senso e non sembra un b-movie.

 

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Quello che intendevo

 

Iiiin conclusione.
Goetia è un bel gioco. Ha delle ambientazioni che è un piacere esplorare, una storia che è divertente (well… a suo modo-) scoprire, e puzzle che vi metteranno sotto torchio. Non è certo esente da difetti, ovviamente, e avrei preferito gli autori facessero un paio di scelte diverse. Ma suppongo che se i problemi fossero stati così terribili stamattina non avrei passato un’ora a rileggermi tutti i documenti trovati in giro per assicurarmi di non aver smarrito qualche dettaglio. E, sì, l’ho finito due giorni fa.
Detto questo, miei cari, vi saluto. Spero che i giochi horror con cui mi trastullo sulla Switch possa diventare una appassionante nuova rubrica. (?) (Devo ancora giocare Detention, tipo.)
Alla prossima, in lidi più… oserei dire… soleggiati!
Bye!

 

goetia game title screen

Goetia, by Sushee/Forever Entertainment.
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