Al di là dei sogni

[Film sentimentale, drammatico e Really Eyes Appealing] [Vi distruggerà tanto]

☆ ☆ ☆

Yohoo!
Sì, chi non è morto si rivede.
Vi giuro che pianificavo di aggiornare prima, molto prima, ma poi un nuovo progetto ha assorbito tutta la mia attenzione nonché energia vitale. Un progetto che amo, per carità, ma (?).
Comunque sia, rieccoci con la seconda recensione del 2017!
Anche quest’oggi parliamo di film (ai miei fan di vecchia data, dico: non temete, presto tornerò anche sugli RPG) perché, quando vedo qualcosa di specialissimo, non posso far a meno di parlare.
E sì, signore e signori miei, ciò di cui trattiamo oggi è davvero specialissimo. Oggi recensirò Al di là dei sogni.

Nella mia testa svolazzava, vago, il ricordo di un film che avevo visto da piccola – avrò avuto otto anni, suppergiù.
Ricordavo giusto qualcosa tipo che il protagonista moriva, che dopo la morte stava “in un quadro” e che alla fine doveva andare a recuperare sua moglie all’Inferno perché si era suicidata – e quest’idea di qualcuno disposto ad andare perfino all’Inferno per recuperare l’amata mi era piaciuta moltissimo.
Non ricordavo i dettagli, ma sapevo che mi era piaciuto sebbene, riflettendoci, non fosse proprio il mio genere. Almeno, non il genere di film che avrei apprezzato ad otto anni.
Qualche anno dopo, facendo ricerchine online, avevo scoperto che questo film si chiamava Al di là dei sogni e che il protagonista lo faceva Robin Williams – che era all’epoca, e sarà sempre, il mio attore preferito – quindi decisi che dovevo decisamente rivederlo per bene.
L’ho fatto ancora più tempo dopo ma, Dio. Davvero. Meglio tardi che mai. Che cosa bella ho appena visto.

Giusto per essere professionale, diciamo anche le cose tecniche: Al di là dei sogni (What dreams may come, “Quali sogni possano venire“, e non potete capire quanto mi sia stupita che la traduzione italiana c’entrasse qualcosa, non solo, fosse relativamente sensata rispetto al titolo originale. Ps, il titolo originale è una citazione dall’Amleto) è un film del 1998 diretto da Vincent Ward. Presenta varie allegorie (alcune abbastanza ovvie) con la Divina Commedia e altre citazioni affini.
E’ un film tutto a tema sovrannaturale – ambientato nell’altro mondo, o in vari “altri mondi” – il cui genere principale sarebbe il drammatico ma di mio, piuttosto, direi il sentimentale. Perché sì, ci sono molte cose tristi, ma “triste” non è il modo in cui definirei questa storia. E quindi prego, se volete sapere di cosa si tratta…

Dentro un quadro

“Un giorno ho incontrato una ragazza bellissima, su un lago.”
Disse Chris, il protagonista, in merito al fatto che una bellissima fanciulla – dolci boccoli e occhioni castani – avesse quasi affondato la sua barchetta schiandocisi contro con la propria. Quel che si dice un primo incontro romantico… Tra l’altro Annie neanche la sa governare, quella barca, quindi viene da chiedersi com’è che nessuno dei turisti, quel giorno, sia finito in una edizione svizzera di Chi l’ha visto?.
Ma a parte questo. Dopo essere sopravvissuto al terribile scontro, Chris si ritira sui verdissimi monti là vicino per fare merenda. E’ così che appare Annie dal nulla; piomba a sedersi accanto a lui, attacca bottone con mirabili doti oratorie e, alla fine, gli offre pure dei tramezzini.
Quando qualcuno appare all’improvviso su una montagna solo per offrirti dei tramezzini, capisci che è indubbiamente la persona giusta.
Le scene successive, rapidi scorci della loro vita futura, sono il tripudio del bucolico e dei buoni sentimenti; tra matrimoni in cui gli sposini ridono e si divertono e giochi con i loro figlioletti.
Così, lo spettatore capisce subito che la Tragedia è alle porte.
Capiterà una mattina come tutte le altre. Ian, il maggiore, vuole correre a scuola perché ha la partita – e il compito di matematica, come gli ricorda prontamente il padre. Marie vuole uscire prima da scuola per non doversi sorbire la pallosissima parita del fratello. Saltano entrambi in macchina con la tata e Chris corre a portare il pranzo che avevano scordato. Ecco, la macchina si allontana sobbalzando lungo un viale di (ovviamente tutt’altro che simbolici) fiori penduli viola (che ancora mi chiedo se fossero glicini, lavanda o altro) lasciando Chris da solo a far ciao con la mano.
“Quella è stata l’ultima volta che li ho visti in vita.”
E questo, gentile pubblico, è il primo pugno nello stomaco che darà questo film. Ma dovrete essere ben saldi, perché entro la fine vi avrà ridotti ad un punching ball.
Che in realtà, Chris non tarderà troppo a raggiungere i figli – quattro anni, solo quattro – e lasciare Annie da sola nella loro grande casa. Non che anche lei rimanga lì per molto.
Il resto è tutto un lungo, lunghissimo viaggio, in compagnia di preziose guide che già l’avevano affiancato in vita per diversi tratti di strada. Un viaggio per passare oltre. Alla scoperta del suo Paradiso personale – perché qui ognuno ha un SUO Paradiso; quello di Chris è il posto dove lui e Annie si sono conosciuti, meglio ancora, la casa dove sognavano di andare a vivere. Per la precisione, non è nemmeno il luogo effettivo, ma il quadro di quel posto come l’aveva dipinto Annie… indi, all’inizio, è tutto fatto di vernice. Ma ogni Paradiso è diverso, e insieme compongono un panorama immenso, straordinario, come se tanti sogni fossero stati messi vicini sulla carta geografica per creare una nuova nazione. Ma perfino questa è solo la prima tappa. Il vero viaggio inizia dopo. Nell’aldilà, nei ricordi, nell’amore.
Laddove Chris deve imparare a vedere cos’ha davanti – cos’ha sempre avuto davanti – e infine, la più difficile delle imprese: la discesa fino nelle profondità dell’Inferno e ritorno pur di salvare sua moglie…

Quel Benedetto Albero

Ricordo che una volta, riguardo questo film, ho detto una cosa che suonava circa: “Sono morti tutti, dal primo all’ultimo. Pure il cane.” E, detto così, sembrerebbe una deliziosa trashata pseudo-emotiva. Naturalmente subito dopo mi sono messa a spiegare perché, sebbe la frase sia puntualissima (anche se, concediamoglielo, il cane è morto fuori scena e prima dell’inizio) questo film è tutt’altro, davvero.
Qui sopra l’ho definito “viaggio”. Ed è questo che è, letteralmente. Il viaggio di Chris per capire cosa vuole dalla vita e dalla morte.
E ancora: è un viaggio per ritrovare le cose perdute. Non quelle perdute morendo, ma quelle perdute già in vita.
La cosa bella è che l’evoluzione del rapporto con i suoi figli e Annie è una cosa necessaria, un continuo: se anche non fossero morti, erano cose che avrebbero dovuto affrontare lo stesso. Non è, insomma, un qualcosa che viene a generarsi dalla situazione stessa, ma il semplice proseguimento da prima.
Poi, poi. Non è che la trama del film, le tappe del viaggio, siano tanto intricate. La parte difficile è piuttosto affrontarle; alla fine, il vero viaggio è tutto mentale. Al novanta per cento si tratta di guardarsi intorno, e accettare.
Accettare la morte in sé e per sé – all’inizio, Chris nemmeno capisce di essere morto; pensa di essere malato.
Accettare di dover lasciare la moglie da sola – che, pur con tutte le buone intenzioni, forzando la sua presenza sta solo peggiorando la situazione.
Lasciarla, poi, sia fisicamente che col pensiero; è tanto preoccupato per lei che, per quanto l’identità dei suoi accompagnatori sia palesissima, ci mette un secolo per riconoscerli.
Accettare, poi, di dover lasciare anche i figli. La discesa all’Inferno per (cercare) di recuperare sua moglie pone questa condizione: non può portare Ian né Marie con sé, e non può nemmeno pensare a loro per non perdere di vista Annie. La cosa però gli riesce difficile, molto, e questo è il segno che qualcosa dentro di lui si è capovolto – e, anche se non sembra, sta davvero andando avanti.
Accettare, poi, il VERO problema che c’era stato con Annie già in vita. Che per quanto loro due siano una coppia meravigliosa, dal legame tanto stretto che riuscivano a rimanere in contatto perfino quando lei era viva e lui no, – la scena dell’albero che si scioglie/secca. Quella scena. – non è che non avessero problemi, anzi. E’ proprio in quelli che c’è la chiave di… tutto.
L’accettazione – proattiva, però; l’accettazione che ti porta a fare qualcosa in merito a – è il tema portante del film.
[Spoiler]Perché, parliamoci chiaro. Quello che fa Chris sul finale non è solo “rinunciare al Paradiso per stare con una persona meravigliosa come lei” (che già abbastanza toccante di suo, questo film mi ha distrutta), è capire che il suo modo di affrontare il dolore… così diverso da quello di lei (lui, in pratica, l’ha rifiutato, nascosto, finto non ci fosse. Ed è andato avanti. Lei, invece, è quasi impazzita) aveva fatto sì che lui, involontariamente, la lasciasse “sola” nel momento peggiore della sua vita. Paradossale, visto il loro legame quasi morboso. Per cui sì, la questione non è tanto rinunciare al Paradiso quanto accettare i propri errori e cercare di porci rimedio, quindi “non lasciarla più sola”.[/Spoiler]
Per cui. Tutta la storia è un viaggio nell’aldilà.
Ma più di preciso, è stato un viaggio in loro stessi e nelle loro vite. In questo senso, la “morte” non è vista nemmeno in chiave negativa, ma come mezzo per accedere ad un Paradiso che ti sei costruito da solo vivendo – che, però, avrà senso e spessore SOLO se la vita è stata vissuta “bene”, e la si è capita fin nel dettaglio.
Come posso dire… i personaggi non sembrano tanto “morti”. Questo film è un qualcosa che dà seriamente un certo assaggio di “eternità”, come potrebbe essere.
Parlando della costruzione…
Il film fa un sapiente uso di flashback e cambi di punto di vista di modo da inquadrare per bene ogni singolo personaggio, cosicché alla fine ogni singola battuta, azione e scelta abbiano senso.
E’ intrecciato, occorere stare attenti fino all’ultimo minuto, ma in definitiva chiarissimo. L’uso di alcune frasi ricorrenti e della narrazione di Chris, poi, ha consolidato il tutto. e_e
“A volte, quando si perde, si vince.”
Poi, ah, non fatevi ingannare. Sarà tutto molto poetico e profondo, ma non è affatto “serioso”. Chris soprattutto è molto ironico, ma anche agli altri partono spesso battute per smorzare i momenti peggiori.
“… mi sa che ho fatto un casino. Sono finito nel Paradiso dei cani.”
(Non so perché, questa mi ha fatto particolarmente ridere.)
(E sì, il cane torna. So che eravate preoccupati.)
Il finale che riprende l’inizio è perfetto oltre che, tipo, un colpo al cuore – ma lascia tutti molto soddisfatti.
“… un giorno ho incontrato una ragazza bellissima, in riva ad un lago.”

Non credo che sui personaggi ci sia ancora molto da dire, quindi sarà breve.
Chris è sicuramente un uomo forte, ma non per questo perfetto. Quando la sua storia inizia, ha tante cose da sistermarsi in testa. Ma per essere un dottore e una persona relativamente pragmatica, sa essere molto più romantico, appassionato e “sognatore” di quanto ci si aspetterebbe.
Annie è davvero dolce. Credo sia uno dei pochi personaggi che comprendo appieno (ma al solito, non condivido) perché ha fatto quello che ha fatto; distrutta dal dolore per la perdita dell’intera famiglia, convinta che sia colpa sua (nel caso del marito, anche per un motivo plausibile e non solo malsano volersi addossare tutte le colpe) e prossima all’essere chiusa una volta per tutte in una casa di cura, beh… Ma Chris l’ha recuperata, e bene così. Solo, per favore, fatti ricrescere i capelli che quel caschetto è orrido pls-
Ian è diventato un gran bravo ragazzo, anche se purtroppo non c’è dato molto modo di vedere come sarebbe al “naturale” e non nei panni di figura professionale. Tuttavia, epic win per aver scelto di apparire al padre con le sembianze dell'”unica persona cui avesse mai dato ascolto”.
Marie, dei due figli, è quella che ha avuto meno spazio, ma posso dire che sembra aver preso la dolcezza della madre e la testardaggine del padre. Il suo Paradiso, poi – la rocca sul fiume pieno di persone ammantate che volano e giocano – è meraviglioso.


Dieci punti anche per la guida, un novello Virgilio badass. All’inizio pensavo fosse un poco stronzo nel suo insistere perché Chris non provasse nemmeno a salvare Annie ma si contentasse di salutare, eppure quando ha spiegato il vero motivo mi sono dovuta ricredere.

Anche gli attori sono stati fantastici: probabilmente questo film è risultato in una delle migliori performance di sempre di Robin Williams. Dio, all’inizio quando guarda Annie gli brillano gli occhi. Gli si legge nello sguardo che si sta innamorando. Nelle scene tristi, poi. Mon dieu.
Anche tutti gli altri sono stati bravi, specie quella di Annie – Annabella Sciorra, mi dice wikipedia – ma nel suo caso mi sento più di fare un commento sulla doppiatrice italiana: è bello perché ha proprio dato una diversa inflessione alla voce di Annie a seconda del momento. Intendo: prima del trauma parla in un modo, e dopo in un altro – perfino quando si è ripresa. Ovvio, dite? Mica tanto, perché la differenza è abbastanza sottile. Eppure, basta per distinguere subito i flashback che sono venuti prima/dopo anche solo sentendoli parlare. E considerato che i flashback sono tanti e in ordine sparso, non può che migliorare il quadro generale.

L’estetica di questo film, ragazzi/e. L’estetica di questo film.
Dire che è assurdamente bello da vedere non credo renderebbe appieno l’idea, e dunque.
Pensate ad una storia dove l’arte è uno dei cardini. Ma non generica arte, parliamo di pittura – eh sì, Annie è una restauratrice, ma la sua vera vocazione è dipingere lei per prima; Chris è un’amante della pittura. Quale accoppiata migliore?
Immaginate che questa coppietta romanticissima sogni di passare la sua vecchiaia nel posto dove si sono conosciuti: le colline verdissime della Svizzera e laghi calmi e lucenti come gioielli. E una casetta tutta per loro. Dato che pare proprio una bella idea, Annie dipinge questa casa dove sperano di ricondurre le loro vite.
E ancora. Purtroppo, Chris muore. Ma il Paradiso se lo crea da solo, e il SUO paradiso è quella casa… no, meglio ancora: è letteralmente quel quadro. Dove i fiori sono fatti di vernice e, se fai un buco nel muro, vedi il colore venir giù in densi goccioloni.

Eye candy

Un panorama di campagna ma ricco, pieno di minuzie dai colori brillanti come solo in un quadro si potrebbe trovare. Per cui, hanno fatto di meglio: non sono andati nel posto effettivo, bensì nella versione idealizzata del posto. La casa dei loro sogni, letteralmente.
Tuttavia, sebbene i colori siano molto accesi e caldi, non aspettative cose flash o esagerate: brillanti sì, ma sempre nel contesto della delicatezza e della poesia che permeano tutto il film.

Il giardino che tutti ci sognamo

Non è solo l’aldilà che lascia sbalorditi, comunque; ci sono alcune scene esterne – come quando Chris saluta i figli per l’ultima volta, dove rimane in piedi, da solo, a guardare l’auto che si allontana, il tutto incorniciato da una cascata di fiori viola che non ho ancora capito se fossero lavanda o cosa – che sono semplicemente belle. Questo film è un piacere anche solo e soltanto da guardare.

al di là dei sogni

Il glicine, nel linguaggio dei fiori, simboleggia la disponibilità e l’amicizia; rimanda inoltre alla lunga vita e all’immortalità.

… e non sempre in senso “positivo”: anche la resa dell’Inferno è eccezionale e, di conseguenza, molto inquietante. Il pezzo di Dantesca memoria dove Chris deve camminare su un pavimento cesellato con le facce dei dannati, per dire. Brr.


Perfino nelle scene della casa di cura si nota un certo riguardo per l’impatto visivo: la predominanza del verde, il cortile diviso in filari eccessivamente ordinati di alberi… come se volesse davvero essere un momento di pace, una oasi neutra in mezzo a tutto quel che stava succedendo.
Ogni cosa è stata studiata al millimetro.

Poi. Riguardo la musica, sono combattuta. Why? Perché, vi giuro, sebbene l’estetica mi abbia appunto lasciata a bocca aperta, non ricordo assolutamente nulla delle OST. Le cose sono: o il resto era troppo figo e non ci ho badato mentre vedevo il film, o non erano particolarmente memorabili.
Giusto per sincerarmi, sono andata a risentirmi qualcosina su youtube: e… niente, alcune mi risultano anonime. Altre sono molto dolci, certo adatte al film, ma non hanno colpito particolarmente me. Però okay, non è che poteva essere tutto da 110 e lode.

Dunque. Cos’è, alla fine, questo film?
… un capolavoro? x° No, seriamente. Una storia toccante dall’intreccio complesso ma sbrogliato alla perfezione in ogni sua parte – con tante frasi che rimarrano nel cuore (Ti ho ritrovata all’Inferno, vuoi che non ti ritrovi nel New Jersey?) e una coppia protagonista che, pur essendo romantica (li definiscono anime gemelle. Sì.) non sprofondano nel melenso. Le visuali del film sono superbe, ma anche simboliche e non messe giusto per bullarsi della grafica; ancora più preziose se consideriamo che questo film è del ’98 e nel 2017 fa ancora un figurone.
Ah, in tutto ciò, ricordo che Chris è interpretato da Robin Williams, per chi si fosse distratto. Credo questo basti per persuadervi a vederlo.
Bello, davvero bello.
E ora vi saluto.
Bye!

 

al di là dei sogni locandina

Al di là dei sogni

[Gif e screen non le ho fatte io, ma le ho prese da qui: 1, 2, 3]